venerdì 24 febbraio 2012

Paura

Non devo avere paura.
La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta con sé l'annullamento totale.

Guarderò in faccia la mia paura.
Permetterò che mi calpesti e mi attraversi.
E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso.

Là dove andrà la paura non ci sarà più nulla.
Soltanto io ci sarò.
(Paul Atreides da "Dune" di Frank Herbert)


Non si esce illesi da una perdita, non si rimane indifferenti quando si vive un trauma.
Io ho vissuto un trauma, e non me ne ero neppure resa conto.

Mio padre, un uomo forte, sveglio e in salute, è entrato al pronto soccorso per una presunta lesione al timpano nel Dicembre del 2008. Pochi giorni dopo si è scoperto che invece di una lesione al timpano si trattava di emorragia cerebrale, c'è stata una crisi, nel cuore della notte siamo corsi in ospedale, lo abbiamo visto star male, male come non pensavo potesse stare lui.
Ha superato la crisi, ma ne ha portato i segni per tutto il tempo a venire: non camminava, non ragionava più come una volta, non era più lui. Ha vissuto in molti centri riabilitativi, è rientrato a casa, ne è uscito di nuovo. Medici, badanti, fisioterapisti, logopedisti... ma il suo corpo si è lentamente deteriorato e ci sono state altre crisi, sempre più spesso, sempre più brutte.
Poi c'è stata l'ultima corsa in ospedale, la notte, e l'inizio dell'agonia.
Interventi, rianimazione, il camice verde dei chirurghi per entrare nell'odore di alcol e tenergli la mano qualche minuto. 'Non capisce', 'Non sente', 'Non c'è'. Ma c'erano le sue mani che si chiudevano sulla mia quando le prendevo, e non valeva a nulla ripetermi che sono riflessi condizionati, che accade anche mentre si dorme, che non vuol dire niente. Per me voleva dire, anche se non sapevo esattamente cosa.
Aspettavamo che morisse, credo. E nell'attesa di notte c'erano i sogni, in cui lo salutavo, lo vedevo andarsene, gli sorridevo, mi pentivo e rimpiangevo, mentre di giorno c'era il panorama sempre uguale della finestra nella sua stanza, il silenzio rotto dai macchinari, il vuoto.
Un incredibile vuoto di emozioni e di sentimenti, un mondo sospeso, anestetizzato, fermo.

Quando lui è morto è stato brutto, ma ho sperato che pian piano la vita riprendesse, che tutto tornasse a scorrere, ora che non c'era più quella finestra sempre uguale nelle mia giornate, ora che i sogni finalmente se andavano. E in effetti la vita ha ripreso il suo corso, ci sono state tante cose belle, tante novità, tanti impegni e soddisfazioni. Credevo fosse tornato tutto a posto.

Ma io non stavo bene.
C'era rabbia, ovunque. Non amavo nessuno, non volevo nessuno troppo vicino, non sentivo più affetto nè desiderio di compagnia. Mi sentivo tranquilla solo con me stessa, la presenza di qualcuno, specie se amico o familiare, mi indisponeva. Misantropia, cinismo, odio indistinto. Per mesi e mesi, con tutti.
Solo adesso capisco che la rabbia era la mia difesa contro la paura.
Paura di perdere qualcun altro, di soffrire di nuovo così tanto. Paura di amare qualcuno e poi non averlo più accanto.

Non voglio perdermi tutta la bellezza della vita perchè ho paura.
Da oggi il mantra della paura diventa mio.
Da oggi ho paura, ma non ho più paura di averne.